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Il sintomo:"odiato e temuto amico"

Massimo Gaudieri


Il sintomo psichico ci suscita reazioni di rigetto,che spesso ostacolano il prendersene cura.

L'esperienza del sintomo psichico è spesso vissuta con grosso disagio, ed è molto frequente percepirlo come un alieno a cui sottomettersi, o per cui chiedere sottomissione, o a cui ribellarsi. Comunque la tendenza istintiva è di svalutare la banale considerazione che il sintomo l'abbiamo prodotto noi stessi e che certamente, se non attraverso la nostra volontà cosciente, pur rimane una parte di noi che si esprime in questo modo sgradevole. Fin qui il ragionamento che stiamo seguendo non si discosta di molto da quello che fanno molte persone quando rivolgendosi ad un operatore, chiedono che il "bubbone" venga estirpato.
"Fiordaliso ha da poco intrapreso una nuova attività lavorativa, molto diversa da quella tradizionale della famiglia, in cui si è impegnato per lunghi anni.
Giunge al mio studio in uno stato confusionale, agitato, la notte dorme poco, e si sente continuamente teso come una molla.
Mi chiede di eliminare questo "bubbone", che gli impedisce di avere pieno successo nel nuovo lavoro, così importante per lui".
Ecco che la prima percezione del sintomo è quella di un ostacolo, che intralcia il "normale" corso della vita; è facile in questa fase ricevere sostegno sociale in questa nostra lotta contro l'alieno, d'altra parte è tutto molto ragionevole, da un lato abbiamo un giovane che desidera realizzare le sue aspirazioni professionali ed affermare la propria identità, dall'altro un sintomo odioso che ne mina le possibilità.
"Nel corso del lavoro analitico Fiordaliso coglie un primo significato del sintomo; I 'alieno si rivela essere una voce interna che esprime il proprio dolore di fronte al rischio di allontanarsi eccessivamente da tante persone care, genitori, vecchi compagni di lavoro, che sono percepiti come rassicuranti".
Vediamo che una iniziale decodifica del sintomo ci permette di scoprire dei bisogni o assopiti o svalutati.
"F., a seguito di questa iniziale consapevolezza, stempera l'iniziale vigore investito nei nuova attività, conservando il minimo impegno utile a mantenere il nuovo lavoro, e utilizzando parte del tempo libero nell'azienda paterna a dare una mano. In questa nuova situazione comincia a percepire una fastidiosa depressione, diventa apatico, irascibile, pessimista.
La prima reazione di Fiordaliso alla depressione è di prenderla con "filosofia ", ovvero con rassegnazione".
Di nuovo si presenta in questa situazione la percezione del sintomo come di un estraneo,anche se questa volta questo estraneo si presenta con un aspetto particolarmente minaccioso ed onnipotente, a cui è meglio sottomettersi che ribellarsi.
"Man mano che la depressione prende piede, Fiordaliso comincia a 'ricattare' il suo ambiente, pretendendo accettazione nonostante le sue inadempienze: "dovete capirmi anche se sono polemico, non collaboro, -dice- faccio così, non per colpa mia, sono depresso".
È questa la fase in cui si colgono i vantaggi di "allearsi" con l'estraneo; è probabilmente il momento più delicato del nostro rapporto con il sintomo, è la fase in cui rischiamo di rinunciare all'ascolto di questo messaggio, adattandoci ad un disagio generalizzato.
"Fiordaliso prosegue nel suo lavoro analitico rinunciando alla facile tentazione di adattarsi ai vantaggi secondari che si possono ricavare dal sintomo. Il successivo impegno nel lavoro introspettivo lo porta a riconoscere con chiarezza due poli del suo conflitto interno. Il suo bisogno di auto affermazione, di identità, si scontra costantemente con il suo bisogno di contatto, ed affetto. Per motivi vari, e comunque molto personali, Fiordaliso ha imparato a procurarsi l'affetto di cui ha bisogno attraverso un 'fare" compiacente.
Quello che attualmente avviene è che ogni volta che asseconda il suo desiderio di auto affermazione, entra in contatto con il disagio derivante dalla deprivazione affettiva. D'altro lato quando si prende cura del suo bisogno di coccole, per il modo con cui lo fa, entra in contatto con il disagio di percepirsi spersonalizzato!"

Il sintomo è una spia che ci segnala con il suo disagio, altre sofferenze, prendersene cura significa individuare il conflitto che lo produce.

A questo punto lasciamo da parte Fiordaliso, che dal canto suo ha proseguito nel suo percorso, riuscendo ad imparare, anche se con difficoltà, a far convivere i due bisogni; ovvero procurandosi e dando affetto apertamente e direttamente, e smettendo di utilizzare auto affermazione in un quadro di riferimento competitivo e contro le persone care.
Riprendendo le nostre considerazioni sul sintomo, è ora evidente come l'"estraneo" e nemico, si possa rivelare un utile amico se trattato come un messaggero di parti profonde della nostra personalità.
Una metafora che frequentemente uso per spiegare questa dinamica è quella che di seguito vi propongo. Immaginiamo il sintomo come una luce forte e fastidiosa che si accende improvvisamente sul cruscotto dell'auto condotta dal nostro Io, possiamo spegnerla a martellate interrompendo rapidamente il fastidio che ci procura, possiamo ignorarla, rassegnandoci a questo fastidio o peggio ancora possiamo utilizzarla come luce per la lettura. Tutti questi comportamenti si riveleranno, prima o poi, dannosi.
Se vogliamo garantire un buon funzionamento della nostra macchina, e non sappiamo cosa segnala quella luce, ci toccherà dedicare tempo alla comprensione di questo mistero. Potrà essere una mancanza o un eccesso di olio, di acqua, o di benzina, o più di una di queste cose insieme. Solo capendo qual'è il motivo "profondo" per cui si accende la luce, potremo provvedere alla mancanza e successivamente programmare una buona manutenzione del veicolo.