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Dal "mal di nevrosi" al "male Narcisistico"

Michele Novellino


Il Cambiamento della famiglia, la marginalizzazione del padre, lascia i giovani "liberi" ma anche esposti a nuove angosce.

Negli anni Cinquanta era estremamente comune ascoltare da un genitore, di solito un padre, rivolgere al figlio frasi di questo genere "Non se ne parla neanche ... tu fai quello che dico io e basta... esigo del rispetto ... sta al tuo posto...... Era il tipo di atteggiamento "paterno", autoritario e inflessibile, rappresentato nello splendido film di Peter Weir, "L'attimo fuggente", attraverso il personaggio del padre che impedisce al figlio di seguire Ia vocazione naturale di fare l'attore, perché non vengano turbati i suoi studi.... in realtà perché non era concepibile per lui un pensiero, una decisione autonoma da parte del ragazzo stesso. La cultura dominante, che da una parte proponeva questi atteggiamenti, e dall'altra da questi veniva rafforzata, era intrisa di norme, codici precostituiti, valori pressoché immutabili trasmessi di generazione in generazione.
Essa causava due effetti essenziali: ordine, stabilità dal punto di vista sociale (entro limiti molto generali ovviamente), ma a livello del mondo interno, psicologico degli individui una frequente conflittualità. Come Giano Bifronte, la cultura autoritaria aveva un lato positivo e uno negativo. Come mai questo paradosso? Risposte a questo problema si possono dare a livello politico, filosofico, antropologico, addirittura linguistico. Io riassumo un modo d'approcciarsi al quesito in termini psicologici, come spirito di questa rubrica e di questa rivista. E' sufficiente ricordare la teoria freudiana della nevrosi per inquadrare quello che lo stesso Freud definì "il disagio di una civiltà": la difficoltà a conciliare gli impulsi, gli istinti, bisogni e le fantasie propri di ogni individuo con norme e valori che tendevano a privilegiare una loro repressione a "vantaggio" di un adeguamento sociale; che spesso sconfinava in un sacrificio di sé intollerabile. Nevrosi diventava sinonimo di conflitto irrisolto tra principi autoritari ed esigenze istintuali.
Bene, se quella figura di padre del film di Weir rappresenta l'immagine-simbolo di una autorità solida ma eccessiva o anche nevrotizzante, possiamo ragionevolmente dire che oggi quel personaggio é ormai fuori dalla storia. Per fortuna? Questo é tutto da discutere.

Il cambiamento della famiglia, la marginalizzazione del padre, lascia i giovani "liberi" ma anche esposti a nuove angosce.

Ricordate quel bel film di Bertolucci, "La luna", un film tanto essenziale quanto sfortunato come prodotto "commerciale"? Ecco, lì c'é un altro padre, oggi purtroppo tipico il padre "assente", non tanto e non solo fisicamente quanto emotivamente, psicologicamente. Il ragazzo, personaggio del film, è educato dalla madre, donna troppo presa dai suoi problemi e insicurezze di quarantenne per potersi permettere di dover anche fare da padre.Il figlio adolescente dispone di soldi, libertà; addirittura l'incesto con la madre sembra essere connaturato a un rapporto che da triadico (padre-madre-figlio) é divenuto duale, il figlio psicologicamente non ha il padre con cui confrontarsi, non ha un rivale autorevole che gli ricordi la necessità di confrontarsi con quello che Freud ha chiamato il "conflitto edipico": il figlio per poter accettare l'autorità paterna deve elaborate la sua dipendenza da quest'ultima sua elaborazione, che deve condurre a un riconoscimento maturo delle polarità genitore-figlio. Il "figlio" può diventare "uomo" (= padre potenziale) se ha accettato la sua dipendenza da un padre. Solo questa accettazione gli consentirà di strutturarsi una personalità in cui sia possibile una dialettica tra norme (= il padre psicologico interiorizzato che deriva dal padre reale "presente" emotivamente e psicologicamente) e pulsioni.
Se un eccesso di autorità patema può portare a una repressione delle pulsioni e quindi condurre, in presenza di altre concause, a una nevrosi, una carenza di questa stessa autorità porterà ad una incapacità ad essere autorevoli verso sé stessi nel controllo maturo e socialmente utile dei propri impulsi; invece della nevrosi avremo una serie di condizioni di disagio connotate dalla psicologia come narcisismo. Un esempio concreto delle possibili conseguenze patologiche, distruttive di questo atteggiamento mentale, se esasperato? Ritengo che citare la tossicodipendenza valga per tutti i possibili esempi.
Cosa accade, a grandi linee, dentro la mente, l'animo di un tossicodipendente? Egli, di solito, presenta una grande, enorme difficoltà ad autogestirsi l'ansia, vive quasi impossibile il contenersi "dentro" le sue angosce, i conflitti, per cui deve fare qualcosa, impulsivamente; é come un bambino che invaso dal terrore, non trovando le braccia della madre che lo rassicurino, fugge precipitosamente urlando, rischiando continuamente di cadere e farsi male. In questo caso, "le braccia della madre"sono l'equivalente di un'autorità interna che fornisca un'identità definita, sicura. Il narcisista è colui che, non essendosi potuto ben confrontare con figure genitoriali significative, non riesce ad acquisire un'identità "adulta" capace di contenere, filtrare costruttivamente le proprie pulsioni; rimane a un'identità "infantile", estremamente dipendente da qualcuno o qualcosa: nel caso del tossicodipendente la droga. Ecco che si pone un problema estremamente importante dal punto di vista psicosociale. Il "padre" del ragazzo del film "L'attimo fuggente" era repressivo, coercitivo; spinge il figlio a un atto autodistruttivo; il padre dell'adolescente drogato del film "La luna" é assente, delega alla madre. Il figlio é lasciato a sé stesso, ai suoi problemi e impulsi: ma il film termina con il padre che riprende il suo posto e prende a schiaffi il figlio, che china la testa di fronte all'autorità paterna. Bisogna tornare ai metodi di una volta? Direi di no! Lo schiaffo è una metafora. L'importante é il ritorno di quest'ultimo a fianco della madre. Tale "ritorno del padre", fenomeno multidimensionale con varie implicazioni culturali,politiche e antropologiche, può ricevere un naturale contributo dalla psicologia: quest'ultima può avere a sua volta un notevole impulso a superare l'eterno rischio di autoconfinarsi in discussioni iperspecialistiche e, forse, anche astratte.